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27 de maig de 2008
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LE LINGUE NEL SISTEMA EDUCATIVO IN CATALOGNA

 

La Catalogna è una delle regioni che formano la comunità linguistica catalana, la quale attualmente si trova distribuita in quattro stati europei: lo Stato spagnolo (Catalogna, Paesi valenziani, Isole Baleari, parte delle comunità autonome d’Aragona e di Murcia), lo Stato francese (la Catalogna del Nord, il Dipartimento dei Pirenei Orientali), lo Stato italiano (Alghero, una città in provincia di Sassari in Sardegna) ed Andorra (uno stato indipendente che si trova nel cuore dei Pirenei, dove il catalano è l’unica lingua ufficiale).

 

In questo articolo parleremo del caso di Catalogna, siccome la divisione amministrativa della nostra comunità linguistica in quattro stati diversi –e nel caso dello stato spagnolo divisa anche in cinque comunità autonome differenti-  fa che lo status legale della lingua sia molto diverso e risultino situazioni sociolinguistiche distinte.

 

1.      Processo storico

 

Breve cenno di chiarimento

 

Quando si parla di sistema educativo in Catalogna, per quel che riguarda l’insegnamento delle lingue, tante volte si confondono i termini e si utilizza il concetto d’immersione linguistica per l’insieme del nostro insegnamento. Bisogna specificare che quando ci riferiamo all’immersione linguistica, parliamo “solo” di quei contesti in cui si applicano le metodologie proprie di questo programma (insegnamento di seconde lingue), dato che una parte importante degli allievi non conosce la lingua veicolare del sistema educativo che, come vedremo, è la lingua catalana. Nei contesti nei quali la scolaresca conosce la lingua catalana sia per via famigliare o per contatti con l’ambiente circostante, non parleremo mai d’applicazione di programmi d’immersione linguistica, parleremo, semplicemente, d’insegnamento in catalano.

 

 

Una desisione democratica

 

Nel 1979, lo Statuto d’Autonomia di Catalogna, ha stabilito l’ufficialità del catalano che si aggiugeva a quella dello spagnolo (dichiarato lingua ufficiale dello stato spagnolo nella Costituzione Spagnola nel 1978). Concretamente, l’articolo 3 dello Statuto di 1979 raccoglieva due punti che sono stati fondamentali nello sviluppo della politica linguistica della Generalitat di Catalogna: il riconoscimento del catalano come lingua propria e l’impegno di garantire l’uso normale ed ufficiale delle due lingue ufficiali, per raggiungere l’uguaglianza d’entrambe le lingue per quell che riguarda i diritti dei cittadini.

 

 

 

La Legge 7/1983, del 18 aprile, di normalizzazione linguistica in Catalogna (http://www.bibiloni.net/legislacio/LNLC.htm), da quanto è stabilito nell’articolo 1.1., aveva come obiettivo lo sviluppo dell’articolo 3 de lo Statuto d’Aunomia di Catalogna che come finalità aveva la normalizzazione dell’uso della lingua catalana in tutti gli ambiti e di garantire l’uso normale del catalano e dello spagnolo. L’articolo 1.2 precisa anche alcuni obiettivi della Legge: imparare ed incentivare l’uso del catalano per tutti i cittadini; dare efficacia all’uso ufficiale del catalano, normalizzare l’uso del catalano in tutti i mezzi di comunicazione sociali ed assicurare l’ampliazione del conoscimento del catalano.

 

Per renderlo possibile, e partendo dal fatto che il catalano era la lingua propria di Catalogna, si è stabilito che doveva essere la lingua propria di quattro ambiti, i quali dovevano diventare i quattro assi principali della politica linguistica della Generalitat di Catalogna: l’amministrazione, la toponimia, l’intitolazione dei mezzi di comunicazione della Generalitat e l’istruzione non universitaria.

 

Dunque, il catalano diventa lingua propria, si potrebbe dire la prima lingua in alcuni ambiti pubblici con lo scopo di livellare la situazione d’entrambe le lingue ufficiali, avendo conto che la situazione della lingua catalana era, in tutti gli aspetti, inferiore, anzi, precaria, se prendiamo il termine che appare nel preambulo della Legge 7/1983, del 18 aprile, di normalizzazione linguistica in Catalogna. Arrivati a questo punto, bisogna riccordare che la Legge è stata approvata per 133 voti (su 135 deputati). Cioè, una legge approvata per tutti i partiti con rappresentanza parlamentare (Convergència i Unió, Partit Socialista de Catalunya, Partit Socialista Unificat de Catalunya i Unión de Centro Democrático), meno il Partido Socialista de Andalucia, scomparso poco dopo dal panorama politico catalano.

 

Nel ambito educativo, e senza approfondire, la Legge 7/1983, del 18 aprile, di normalizzazione linguistica in Catalogna ha significato: dichiarare il catalano lingua propria dell’istruzione in tutti i livelli educativi; stabilire che i bambini hanno il diritto di ricevere il primo insegnamento nella loro lingua abituale (1); non dividere gli allievi in scuole diverse secondo la lingua; garantire che tutti gli scolari dovevano accreditare, alla fine dell’istruzione obbligatoria, la conoscenza del catalano e dello spagnolo, indipendentemente della loro lingua abituale all’inizio della loro scolarità; stabilire il dovere degli insegnanti di conoscere entrambe le lingue ufficiali; ed istituire il catalano come lingua d’espressione abituale nelle scuole in tutte le attività interne ed in quelle di proiezione esterna. Ossia, è stata una scomessa chiara per avere un unico modello educativo, che doveva offrire a tutta la cittadinanza della Catalogna l’oportunità di conoscere le lingue ufficiali e, nel caso del catalano, questa premessa solo era possibile se il catalano diventava la prima lingua della scuola.

 

Negli anni ottanta, in questa nuova situazione legale (svilupata con il Decreto 362/1983, del 30 agosto, in riferimento all’applicazione della legge 7/1983, del 18 aprile, di normalizzazione linguistica in Catalogna) (1) e con l’esperienza acquisita dagli insegnanti che avevano introdotto l’insegnamento del catalano in catalano, incomincia il processo graduale di catalanizzazione del sistema educativo e, nello stesso tempo, incomincia l’applicazione dell’immersione linguistica, che popolarmente diventa lo stendardo della normalizzazione linguistica. È il momento in cui vengono applicate le metologie dei programmi d’immersione linguistica nelle zone dove la maggioranza degli scolari parla lo spagnolo, in cui migliaia di maestri frequentano corsi d’aggiornamento (“reciclaggio”) e le scuole di Magisterio promuovono i Piani Intensivi di Normalizzazione Linguistica per coordinare in una stessa direzione le attuazioni del Departament d’Ensenyament e dei comuni… Senza dubbio, sono stati anni in cui la catalanizzazione del sistema educativo è stata strettamente legata con la rinnovazione pedagogica e con una decisa inclinazione a una scuola di qualità.

 

 

L’applicazione del programma d’Immersione Linguistica

 

In questo senso, bisogna ricordare che il programma d’Immersione Linguistica (PIL) sviluppato in Catalogna ha osservato attentamente le esperienze che, nel Quebec, aveva sviluppato il professore Lambert. Il modello catalano, nonostante tutto, non ha seguito alla lettera i referenti canadesi ed è stato modificato a partire delle coordinate estratte dal contesto e dalle proprie strategie d’intervento.

 

Sarebbe interessante ricordare che l’immersione linguistica non è stata, all’inizio, un programma spinto dall’Amministrazione educativa della Catalogna. I pionieri sono stati in realtà un gruppo di scuole (professori o comunità educative) che, coscienti dell’inefficacia dei modelli d’insegnamento della lingua catalana in relazione alle esigenze del contesto sociolinguistico e socioculturale, decidono sperimentare, provare alternative metodologiche diverse, nella situazione legale che offre la Legge 7/1983 di Normalizzazione Linguistica. L’appoggio dell’amministrazione politica è dovuto al successo ottenuto nelle prime esperienze (il riferimento alle scuole pubbliche di Santa Coloma de Gramenet, nella periferia industriale di Barcellona, è obbligato)

 

Per quel che riguarda le basi pscolinguistiche del PIL è assolutamente necessario far riferimento all’ipotesi dell’interdipendenza linguistica del professore canadese Cummins. L’ipotesi dello sviluppo interdipendente propone che il livello di competenza acquistato dal bambino nella L2  dipende, in parte, dal tipo di competenza che il bambino ha svilupato nella L1 dal momento in cui incomincia il contatto intenso con la L2. Riassumendo, l’ipotesi propone che esiste interazione fra la lingua d’appredimento ed il tipo di competenza che il bambino sviluppa nella L1 prima dell’ inizio della scuola. I lavori del Cummins proponevano che le abilità implicate nell’uso di una lingua non sono proprie delle sue caratteristiche, non dipendono dall’aspetto formale (morfologia, sintassi, fonologia, ecc.), ma che implicano l’uso del linguaggio in generale; in maniera che, nella base dell’uso che qualsiasi locutore fa d’una delle lingue che domina, c’è una competenza comune  a tutte loro. Questa competenza non è innata, ma è il risultato dell’apprendimento ad usare una lingua determinata. Le teorie del Cummins offrivano un contesto teorico esplicativo che da sostegno  ai processi d’insegnamento che usano come lingua veicolare una lingua che non è la lingua degli allievi, poichè la competenza è comune e viene trasferita da una lingua all’altra.

Tuttavia, l’ipotesi d’interdipendenza linguistica, anche se assicurava che il programma d’immersione poteva funzionare con alunni di ambienti socioculturali strutturati, nello stesso tempo poneva interroganti in relazione con gli alunni di ambienti socioculturali poveri. Ed è qui che entrano in gioco le impostazioni del sociologo Basil Bernstein riguardo il ruolo del linguaggio verbale e dei suoi codici nell’insucesso scolare negli ambienti socioculturali bassi (il codice verbale limitato proprio di questi gruppi non serve per aver un risultato positivo nella scuola, dove viene usato un linguaggio astratto e non contestualizzato). Questi studi sono nella base della scelta d’introdurre il PIL, in maniera precoce, nell’educazione infantile, in modo di aiutare a compensare le disuguaglianze linguistiche che esistono fra gli allievi.

 

Alcune considerazioni riguardanti  le caratteristiche e condizioni del PIL:

 

L’applicazione del PIL:

·        È un programma con cambio di lingua casa/scuola.

·        È un programma d’educazione biligue; gli allievi devono raggiungere lo stesso dominio d’entrabe le lingue (quella famigliare e quella scolastica) durante il periodo di scuola dell’obbligo.

·        È un programma voluntario (la Legge lo garantiva e tutt’oggi lo garantisce con la possibilità di richiedere attenzione linguistica individuale di lingua spagnola durante il primo anno di scuola).

·        La maggioranza degli allievi non conosce la lingua d’apprendimento.

·        Tutti gli insegnanti sono bilingue (ovvero, conoscono la lingua della scuola e la lingua famigliare della scolaresca).

·        Nel caso del catalano, bisogna aggiungere che il PIL è stato anche relazionato, come abbiamo già detto, a tutto un processo di rinnovazione pedagogica (sopratutto nella fase dell’educazione infantile e nella prima elementare) che implicava l’introduzione di nuove metodologie, nuove strategie didattiche, nuovi materiali curricolari … e di normalizzazione linguistica, per il fatto che ha permesso di garantire il conoscimento d’una lingua minoritaria, in questo caso la catalana, per la maggioranza della popolazione, indipendentemente di quale fosse la lingua famigliare.

 

Alcune considerazioni riguardanti gli aspetti organizzativi e istituzionali:

 

Spesso un aspetto meno conosciuto, però non necessariamente meno importante, dello sviluppo del PIL è stata l’apportazione di nuove forme organizzative e d’intervento istituzionale.

Una delle innovazzioni organizzative più interessanti dello sviluppo del PIL fu la creazione dei “Plans intensius de normalització linguistica”, che sono modi di lavoro in collaborazione fra diferenti istituzioni (amministrazione locale, amministrazione autonoma) che agivano in un determinato territorio e che hanno contribuito con proposte molto interessanti alla pianificazione linguistica scolare, intendendo che l’educazione non è un lavoro solo dell’istituzione scolastica, ma bensí della società.

Lo sviluppo del PIL ha implicato anche la costruzione d’un ambizioso programma di consulenza didattica che, diretto dal Servei d’Ensenyament del Català (SEDEC) facente parte del Departament d’Ensenyament de la Generalitat, fu decisivo alla rinnovazione pedagogica delle scuole pubbliche elementari di Catalogna, specialmente durante gli ultimi anni 80 (ottanta) e la prima metà degli anni 90 (novanta).

 

 

Un modello linguistico riconosciuto dalla Costituzione Spagnola

 

Il 23 dicembre del 1994, il Tribunale Costituzionale ha emesso una sentenza nella quale considerava che quattro articoli della Legge 7/1983 del 18 aprile, di normalizzazione linguistica in Catalogna, per l’esattezza quelli che regolavano il regime linguistico dell’insegnamento in Catalogna (un processo iniziato nel 1983 quando un privato ha presentato un ricorso amministrativo alla Sala Amministrativa del Tribunale Superiore di Giustizia di Catalogna), erano ammessi dalla Costituzione Spagnola.

In modo definitivo, si può affermare che, con questa sentenza, la Costituzione Spagnola avallava il modello linguistico dell’insegnamento previsto dalla legislazione catalana.

 

 

L’ordinamento legale della lingua nella scuola

 

Negli anni 90, si fa un salto qualitativo, almeno nell’aspetto legale: viene stabilito l’ordinamento generale degli insegnamenti dell’educazione infantile, elementare e media obbligatoria in Catalogna (3) a partire dell’entrata in vigore della Legge organica 1/1990, d’ordinamento generale del sistema educativo, dove si determina che il catalano, come lingua propria che è di Catalogna, lo è anche per l’insegnamento. Verrà utilizzato normalmente come lingua veicolare e d’apprendimento dall’educazione infantile, dall’educazione elementare e dall’educazione media obbligatoria. Posteriormente, i decreti (4) che venivano sviluppati in infantile, elementare e media obbligatoria, l’ordenazione generale degli insegnamenti, rinforzavano il fatto di affermare un’altra volta che  il catalano come lingua propria di Catalogna lo è anche dell’insegnamento, e di conseguenza, deve venir utilizzato come lingua veicolare e d’apprendimento dell’insegnamento dei sopracitati livelli educativi. Lo stesso riferimento lo troviamo anche nei decreti che stabiliscono gli insegnamenti di formazione professionale, delle medie superiori (5), ecc.

 

La Legge 1/1998, del 7 gennaio, di politica linguistica (http://www6.gencat.net/llengcat/legis/lleipl.htm) stabilirà ancora che il catalano dev’essere usato normalmente come lingua veicolare e d’apprendimento nell’istruzione non universitaria.

In oltre, d’accordo con l’articolo 6 (La lingua propria e le lingue ufficiali) dello Statuto di autonomia della Catalogna (dal 2006 Catalogna ha un nuovo Statuto di autonomia in sostituzione dello Statuto del 1979) (6):

 

1.      La lingua propria di Catalogna è il catalano. Di conseguenza, il catalano è la lingua d’uso normale e preferente dalle amministrazioni pubbliche, dai mezzi di comunicazione pubblici in Catalogna, ed è anche la lingua normalmente adoperata come lingua veicolare e d’apprendimento nell’istruzione.

 

2.      Il catalano è la lingua ufficiale di Catalogna, come lo è anche lo spagnolo, che è la lingua ufficiale dello Stato spagnolo. Tutte le persone hanno il diritto di usare le due lingue ufficiali e i cittadini di Catalunya hanno il diritto ed il dovere di conoscerle. I poteri pubblici di Catalogna devono stabilire le misure necessarie per facilitare questi diritti e di compiere questi doveri, d’accordo con quello che stabilisce l’articolo 32, non ci dev’essere discriminazione per l’uso di qualsiasi delle due lingue.

 

Per quel che rigurda l’insegnamento non universitario, si specifica:

            Articolo 35. Diritti linguistici nell’ambito dell’insegamento.

1.      Tutte le persone hanno il diritto di ricevere l’insegnamento in catalano, come stabilito dallo Statuto. Il catalano dev’essere usato come lingua veicolare e d’apprendimento nell’insegamento universitario e non universitario.

2.      Gli alunni hanno il diritto a ricevere l’insegnamento in catalano nella scuola non universitaria. Inoltre hanno il diritto ed il dovere di conoscere con sufficenza orale e scritta il catalano e lo spagnolo alla fine della scuola dell’obbligo, indipendentemente della loro lingua abituale al momento dell’iscrizione nella scuola. L’insegnamento del catalano e dello spagnolo deve avere una parte adeguata nei piani di studi.

3.      Gli alunni hanno diritto a non essere separati in scuole o in classi differenti per causa della loro lingua abituale.

4.      Gli alunni che s’iscrivono più tardi dell’età corrispondente al sistema scolastico di Catalogna hanno il diritto a ricevere sostegno linguistico speciale, se per il fatto di non capire il catalano hanno difficoltà a seguire il normale insegnamento

 

 

 

 

 

 

Più di 2 anni*

Capisce

%

È capace

di parlare

%

È capace

    di leggere

%

È capace di scrivere

%

 

Dai 2 ai 14 anni

966

919

95,10

753

78,00

657

68,00

534

55,30

Dai 15 ai 29 anni

1.468

1.428

97,30

1.162

79,20

1.212

82,60

930

63,40

Dai 30 ai 44 anni

1.267

1.208

95,30

812

64,10

875

69,10

398

31,40

Dai 45 ai 59 anni

1.045

964

92,20

594

56,80

600

57,40

227

21,70

Dai 60 ai 74 anni

847

756

89,30

520

61,40

488

57,60

210

24,80

Dai 75 ai 84 anni

282

240

85,10

178

63,10

151

53,50

63

22,30

Dai 85 anni 

74

62

83,80

47

63,50

36

48,60

14

18,90

Totale

5.949

5.578

93,80

4.066

68,30

4.019

67,60

2.376

39,90

 

*(migliaia di persone)

Fonte: Institut d’Estadística de Catalunya

 

 

2.      L’attualità

Quale è la situazione attuale?

 

È giusto dire che, a giorno d’oggi, pratticamente tutti i cittadini che hanno frequentato la scuola catalana conoscono le due lingue ufficiali. Se esaminiamo i datti ufficiali, ottenuti dal censimento del 1991, ci si rende conto quale è il livello di conoscimento della lingua catalana da parte della cittadinanza di Catalogna ed in modo particolare la cittadinanza che ha usufruito di questo sistema educativo catalanizzato (caselle ombreggiate).

 

E lo spagnolo?

 

Nonostante alcune voci apocalittiche che periodicamente annunciano, sopratutto nei periodi preelettorali ed elettorali, che i nostri alunni non hanno un conoscimento adeguato della lingua spagnola, la realtà ci dimostra che, se ancora qualche lingua è debole, questa è la catalana.

Come dato significativo, risalta che nel periodo 1998 – 2003 in Catalogna e nel resto dello Stato si hanno creato ed applicato delle prove di spagnolo approvate tra l’Istituto Nazionale di Valutazione e Qualità del Sistema Educativo (INECSE) del Ministero d’Educazione ed il Consiglio Superiore di Valutazione del Sistema Educativo del Departament d’Educació. Come si può comprovare nei grafici seguenti, i risultati fra le prove in Catalogna e in Spagna sono, dal punto di vista statistico, uguali, ovvero non c’è differenza significativa tra le percentuali e dimostrano che gli studenti di Catalogna e quelli del resto dello Stato raggiungono lo stesso livello di lingua spagnola:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lingua spagnola nell’educazione elementare (12 anni) 1999


 

 

Lingua spagnola nell’educazione elementare (12 anni) 2003


 

 

 

Lingua spagnola nelle scuole medie (16 anni) 2000


 

Il problema non è nel campo del conoscimento dello spagnolo e molto meno nell’uso che possono fare i giovani di Catalogna di questa lingua onnipresente nel campo del divertimento, delle nuove tecnologie, nei mezzi di comunicazione, di buona parte dell’università, nel mondo del lavoro, … Il problema riguarda invece la lingua catalana. Da una parte, il conoscimento de la lingua catalana è alto, però l’uso che ne fanno è limitato. Se a questo fatto si aggiunge il continuo aumento delle migrazioni extracomunitarie che arrivano a Catalogna, in modo particolare dal 2000 (due milla), e la formazione di contesti scolastici multilingue si propongono nuovi interrogativi e sfide per lo sviluppo del programma d’immersione linguistica.

 

Uso attuale del catalano e dello spagnolo nei giovani

Dai dati emersi dalla statistica sugli usi linguistici in Catalogna, fatta nel 2003, il 53,5% della popolazione di Catalogna di più di 15 anni, ha lo spagnolo come prima lingua, il 40,4% ha il catalano, il 2,8% ha entrambe le lingue come prime ed il 3,3% ne tiene altre. Ma, quando si chiede quale è la lingua in cui s’identificano, osserviamo un significativo aumento del catalano: un 48,8% dichiara che è il catalano, un 44,3%, lo spagnolo, il 5,2% tutte e due, e l’1,7% s’identifica con altre lingue. Ossia, il catalano ha una buona capacità d’attrazione.

 

In tutti i modi, malgrado i dati anteriori e malgrado che il catalano è la prima lingua d’insegnamento no universitario, dei mezzi di comunicazione pubblici, de l’amministrazione pubblica di Catalogna e della toponimia, la lingua spagnola continua ad essere la lingua maggioritaria in molti ambiti della società: giustizia,

mondo socioeconomico, etichetaggio dei prodotti, mezzi di comunicazione (specialmente TV e riviste), libri specializzati (in modo particolare nel mondo della scienza), comunicazione fra catalanoparlanti e spagnoloparlanti, divertimento, …

si può affermare che è perfettamente possiblile vivere in Catalogna conoscendo solo lo spagnolo, senza sapere una parola di catalano.

 

Per rendersi conto della forza dello spagnolo in Catalogna è sufficiente esaminare due studi recenti. Per la ricerca Hàbits de lectura i compra de llibres a Catalunya 2006, fatta da Precisa Research per  l’Associació d’Escriptors en Llengua Catalana ed il Gremi d’Editors de Catalunya datata febbraio 2007:

  • Il 78,7% delle persone che hanno partecipato all’indagine dichiara di avere lo spagnolo come lingua abituale di lettura contro un 20,1% per il catalano, uno 0,7% per l’inglese ed uno 0,5% per altre lingue.
  • Nella classifica dei 25 titoli più letti nel 2006 ci sono solo libri editati in spagnolo, siano originali o traduzioni.
  • Fra i 20 libri più venduti nel 2006 non c’è nessun titolo in catalano e, tra i 20 autori più letti c’è solo uno scrittore in lingua catalana: Albert Sánchez Piñol.

 Se a questi dati aggiungiamo che nello stato spagnolo si editano annualmente 66.000 titoli nuovi fra i quali: un 78,3% in spagnolo, un 11,7% in catalano, un 2,1% in gallego, un 1,8% in inglese ed un 1,5% in basco, ovvero si stampano, si vendono e si leggono molti più libri in spagnolo (Catalogna non è altro che un submercato del mercato spagnolo).

E se ci fossero ancora dei dubbi che i nostri giovani non sanno lo spagnolo: gli ultimi dati del barometro della comunicazione e la cultura (www.fundacc.org) fatti pubblici nell’ottobre 2007 non possono essere più chiari: lo spagnolo è la lingua più frequente nella “dieta” mediatica e culturale nei giovani del nostro paese. Il rapporto offre una dose di realismo per quelli che, da una parte, credono che il catalano è già una lingua normalizzata e, dall’altra, per quelli che credono o vogliono far credere che lo spagnolo è una lingua perseguitata a tal punto da essere eliminata da molti ambiti della nostra società.

 

Lo studio, oltre a sottolineare il basso consumo culturale del nostro paese, ha constatato che i giovani tra i 14 e i 25 anni in Catalogna leggono tre volte di più quotidiani in spagnolo che in catalano, sei volte di più riviste in spagnolo che in catalano, quasi un 30% ascolta la radio in spagnolo mentre quelli che l’ascoltano in catalano non arrivano al 18% e, attenzione, un 66% guardano la televisione in spagnolo mentre un 18 % la guarda in catalano. I dati che riguardano il consumo di film, musica, videogiochi, concerti e libri confermano il netto predominio dello spagnolo. Solo nelle mostre (un ambiente molto istituzionale) domina il catalano. Negli spettacoli c’è un equilibrio fra le due lingue (con un leggero dominio dello spagnolo).

I dati sui giovani sono ancora più preoccupanti se li paragoniamo con quelli dei maggiori di 25 anni, i quali consumano più in catalano (le percentuali del consumo in spagnolo si mantengono però sempre più alti di quelli in catalano). I dati che abbiamo dei Paesi valenziani e delle Isole Baleari ci confermano che qualsiasi politica che non viene fatta a favore della lingua è, semplicemente, politica contro la lingua, visto che i risultati sono molto più bassi di quelli ottenuti in Catalogna.

 

Quali sarebbero le conclusioni?

 

  • L’insegnamento in catalano non garantisce un maggior uso della lingua anche se può aiutare a frenare il processo di sostituzione.
  • Se una politica linguistica si basa solamente nel sistema educativo non universitario e non lavora in altri ambiti d’uso specialmente quelli relazionati con il divertimento, la lettura, il mondo socioeconomico e sociolaborale si potrà far ben poco per fare di questa lingua una lingua necessaria per vivere in un territorio (l’unico meccanismo perchè una lingua continui ad essere usata).
  • Per molti giovani (chissà se la moggioranza?), è uguale usare una lingua o l’altra (e probabilmente la perdente continua ad essere il catalano). Quando succede così, aimè delle lingue che non sono imprescindibili!
  • La quota d’influenza dei mezzi di comunicazione in catalano è molto più bassa di quella ottenuta anni indietro, sopratutto per l’aumento de l’offerta dei mezzi in spagnolo nel nuovo scenario audiovisuale.
  • Nel caso in cui non fosse stata fata la politica di mettere il catalano prima lingua dell’insegnamento non universitario, dei mezzi di comunicazione pubblica (catalana), dell’amministrazione e della toponimia (i quattro punti sui quali si basa la politica linguistica del nostro paese), ci troveremmo in una situazione simile a quella dei Paesi Valenziani e delle Isole Baleari dove il consumo di quotidiani e riviste è pratticamente inesistente, ed è molto basso in radio e televisione (per non dire in altri ambiti).

 

In conclusione, la politica linguistica applicata in Catalogna per quello che riguarda il catalano e lo spagnolo non solo è legittima (e continua ad esserlo), anzi bisognerebbe estenderla in altri ambiti, perchè, come si è potuto vedere in questo studio, l’unica lingua in situazione di scomparsa reale è la lingua catalana che è la lingua propria di questo territorio (se scompare da qui, scompare dal mondo).

 

 

3.      Uno sguardo verso il futuro

 

La nuova immigrazione: un’ultima opportunità

 

Negli ultimi anni, uno dei cambi più importanti e significativi che si è verificato in Catalogna è stato l’arrivo massivo di persone procedenti d’altri paesi. Questa immigrazione ha avuto la virtù di mettere a fuoco molti temi che sembravano risolti (o nascosti, per essere più precisi): il modello sanitario catalano, il modello urbanistico, il modello educativo, l’uso della lingua (delle lingue)…  Nel caso delle lingue, bisognava decidere quale era la lingua d’accoglienza nel nostro paese, quale era la lingua che dovevano imparare le persone arrivate, se bisognava cambiare gli usi linguistici dei catalanoparlanti che, in pratica, si rivolgono sempre in spagnolo a quelli che non vengono identificati come catalani (ad esempio, persone di altre razze, oppure persone che incominciano a parlare lo spagnolo) … Non è che il problema sia risolto, però quello che è sicuro è che negli ultimi anni le diverse amministrazioni catalane (Generalitat e comuni) sono andate avanti nella linea di fare del catalano la lingua d’accoglienza, sopratutto tra i più giovani immigranti, nello stesso tempo c’è un’amplia offerta di corsi di lingua catalana per i nuovi arrivati adulti che è stata incentivata dal Consorci de Normalització Lingüística (un ente condiviso fra la Generalitat e i comuni).

 

L’insegamneto non universitario e l’immigrazione: un esempio di come si vuole il futuro sociolinguistico in Catalogna

Fissiaomoci nel caso dei centri educativi di Catalogna, dove praticamente passa tutta la scolaresca (sicuramente i dati percentuali d’alunni stranieri riflette molto più chiaramente la reale percentuale d’immigranti). L’arrivo d’alunni stranieri è stato importantissimo negli ultimi anni. Di fatti, in Catalogna ci sono alunni procedenti da più di 150 stati di tutto il mondo. La nuova immigrazione nonostante abbia avuto una distribuzione irregolare, si è consolidata in tutte le zone di Catalogna, sia in qelle industriali, in quelle turistiche o in quelle agricole.

 

 

Il Piano per la lingua e la coesione sociale

Davanti a questa realtà il Departament d’Educació de la Generalitat de Catalunya ha dato impulso al Pla per a la llengua i la cohesió social (www.xtec.cat/lic),  mediante il quale iniziano nel corso 2004-2005 le aule d’accoglimento come risposta metodologica ed organizzativa per affrontare questa nuova sfida educativa. Senza dubbio, l’arrivo della nuova immigrazione avrà alcune implicazioni sociali che posono marcare il futuro della società catalana del secolo XXI e, per questo motivo, un buon accoglimento, una buona integrazione, senza rinunciare alle basi culturali e linguistiche che ogni persona arrivata porta con sé della propria cultura, una garanzia  perchè tutti abbiano il diritto di avere le stesse opportunità… sono alcuni degli elementi che ci potranno aiutare a disegnare una società catalana coesionata, non escludente, integratrice, rispettosa con le apportazioni delle persone che arrivano, e nello stesso tempo, fedele alla propria storia, lingua, ed alla maniera d’intendere il mondo che ha caratterizzato i catalani e le catalane che lungo la storia hanno formato il nostro paese. Se vogliamo essere valorizzati, anche noi dobbiamo valorizzare gli altri: questa è una delle idee che danno forza a questo Piano.

Per tutti questi motivi, gli sforzi dell’amministrazione educativa catalana sono stati molto importanti: nell’anno scolastico 2004-2005 si sono create 600 aule d’accoglimento (ad ogni aula è stato assegnato un professore), per il corso 2007 – 2008 siamo quasi a 1200 aule. Queste aule hanno avuto dotazione di nuove tecnologie, hardware e software adatto ai loro programmi, dotazione economica per acquistare materiale didattico, formazione specifica per i professori dell’aula d’accoglimento e per tutti i professionali implicati nell’accoglienza degli alunni, inviamento regolare delle novità editoriali nel tema d’accoglimento, sostegno pedagogico da parte dei consulenti di lingua e coesione sociale che il Departament d’Educació ha nominato in tutta Catalogna (più di 200 nell’anno scolastico 2006-2007). Sicuramente, siamo in grado d’affermare che si tratta d’una scomessa importante come quella che è stata fatta negli anni 80 del secolo scorso con l’applicazione del programma d’immersione linguistica per gli alunni spagnoloparlanti.

Inoltre, per il Departament d’Educació è stato sempre chiaro che una risorsa come l’aula accoglimento non ha senso senza tenere in conto che è una parte d’un progetto più vasto. Qualcuno ha affermato che la presenza d’alunni stranieri offre una buona opportunità per riflettere su come insegnamo e, in definitiva, per tentare di ridurre l’insucesso scolare della scolaresca. Basta osservare che un professore che si trova davanti un gruppo d’alunni i quali, in modo parziale o totale, non capisce la lingua deve concentrare i suoi sforzi nel fatto che i suoi messaggi siano capiti. Questo lo obbliga alla contestualizzazione costante mediante l’attività gestuale, l’intonazione marcata di quello che dice, l’enfasi che gli permette di sottolineare quello che è più rilevante, la ricerca di strategie di comunicazione compresnsibile in modo tale di conseguire che i suoi allievi s’applichino e non restino fuori dei suoi discorsi. In cambio, se l’insegnante o il professore sa che gli allievi lo capiscono da priorità agli aspetti formali e dimentica la contestualizzazione descrita anteriormente. In ambienti socioculturali bassi quest’attitudine è molto pericolosa, poichè anche essendoci una coincidenza formale tra le parole del professore e degli allievi, il suo uso è molto diferente, in quanto gli allievi hanno un livello di linguaggio povero.

Inoltre, come è stato detto, la presenza d’alunni stranieri ha riproposto il tema dell’uso della lingua catalana. Se la lingua catalana non viene usata in modo coerente da parte di tutti i membri del centro educativo e non viene usata negli ambienti d’educazione non formale, difficilmente gli alunni la percipiranno come una lingua utile che bisogna usare. Nel migliore dei casi la percepiranno come una lingua scolastica che si deve imparare ma che non serve per vivere. Per questo motivo, sia dal Departament d’Educació, sia dai comuni sono stati avviati i cosidetti Plan Educatius d’Entorn (nella linea dei Plans Intensius de Normalització Lingüística, ma con ricorsi economici più elevati), dove oltre le amministrazioni sopracitate, si sono anche compromesse associazioni sportive, di divertimento, universitarie con l’obiettivo di lavorare per la coesione sociale facendo del catalano una lingua utile.

Cosa vuole attualmente la scuola catalana?

Attualmente, con un bagaglio di 30 anni d’autogoverno, d’esperienza pedagogica nell’insegnamento di seconde lingue (sicuramente il più importante d’Europa) il Departament d’Educació de la Generalitat de Catalunya incentiva nei centri educativi “projectes lingüistics” che hanno come fine che la Catalogna del secolo XXI  abbia bisogno di cittadini che, oltre al catalano, il tratto che più ci singolarizza, siano competenti con il massimo di lingue possibile, cioè di cittadini plurilingue.

Una proposta per una Catalogna che deve assicurare il futuro della lingua catalana e che deve restare aperta al mondo più che mai. Cittadini che trovino nel catalano la loro lingua di comunicazione abituale, e che, oltre a conoscere perfettamente il catalano conoscano lo spagnolo e possano comunicare in inglese, che abbiano un conoscimento che gli permetta, come minimo, capire alcune delle altre lingue romaniche e, nel caso degli immigranti, che possano conoscere la loro lingua d’origine. Una sfida difficile, però certamente stimolante come società, come paese.

 

 

(1) Poche famiglie han fatto valere il loro diritto a ricevere attenzione individuale in spagnolo nell’educazione infantile ed elementare

 

 

AS

94/95

AS

95/96

AS

96/97

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99/00

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00/01

AS

01/02

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02/03

AS

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AS

04/05

96

89

60

21

24

10

10

5

2

0

0

 

AS = anno scolastico

 

(2)

http://www20.gencat.cat/docs/Llengcat/Documents/Legislacio/Recull%20de%20normativa/Ensenyament/Arxius/en_decret362_1983.pdf

 

(3) Decreto 75/1992, del 9 marzo, il quale stabilisce l’ordenamento generale degli insegnamenti de l’educazione infantile, elementare, media e superiore non universitaria.

 

(4) Il decreto 94/1992, del 28 aprile, il quale stabilisce l’ordenamento curriculare de l’educazione infantile, il Decreto 95/1992, del 28 aprile, il quale stabilisce l’ordenamento curriculare de l’educazione elementare el il Decreto 96/1992, del 28 aprile, il quale stabilisce l’ordenamento curriculare de l’educazione media obbligatoria.

 

(5) Il decreto 332/1994, del 4 novembre, il quale stabilisce l’ordenamento generale degli studi di scuole professionali in Catalogna ed il Decreto 82/1996 del 5 marzo il quale stabilisce l’ordinamento degli studi medi superiori, ripetono che il catalano è la lingua d’apprendimento.

 

(6) Per conoscere  in modo complessivo il trattamento della lingua catalana nello Statuto d’Autonomia (Legge organica 6/2006, del 19 luglio), ci si può rivolgere a: http://www6.gencat.net/llegcat/legis/estatut.htm

 

 

 

 

Pere Mayans (direttore del Servei d’Immersió i Ús de la Llengua)

Imma Canal (responsabile del programma d’immersione linguistica)

  1. Mentre in paesi comme l’Italia continuarano a pensare che i catalani sono i “deboli” che lottano per una causa giusta la situazione di millioni di spagnoli e parlanti di spagnolo in Catalogna ed Isole Baleari sarà così cattiva.

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